OST – The two towers

In perfetta simmetria con il primo Cd di musiche della trilogia de Il Signore degli anelli, anche The Two Towers si apre con il mito della profezia che incornicia magicamente tutta la saga tolkienana in un’aura di predestinazione che sembra sempre sul punto di essere disattesa dall’eucatastrofico incalzare degli eventi luttuosi. La differenza sostanziale risiede nel fatto che questa volta l’afflato melodico del primo brano, che nella precedente composizione era reso preponderante dal suo arcano tempo sospeso, finisce qui per perdersi in un discorso ben più densamente polifonico e drammatico. Ci si accorge subito, già dal solo ascolto del primo track, di essere di fronte non ad una piatta riproposizione di quanto già ascoltato nella precedente pellicola, quanto piuttosto ad una vera e propria meditazione drammatica sul valore e sul significato di quella musica che l’aveva accompagnata. In questo senso si può agevolmente affermare che, a differenza di quanto già fatto in The Fellowship of The Ring, Shore abbia inteso, in perfetta aderenza con la maggiore cupezza del libro da cui lo stesso film trae ispirazione, rendere più spesse le parti mediane e i bassi dell’orchestra, spesso nascondendo i propri bellissimi temi dietro grevi pedali orchestrali che danno a molti brani quell’andamento decisamente accordale che è, certo, molto medioevale, ma, soprattutto, assolutamente shoriano.
I vari temi che avevamo ascoltato nel primo episodio della trilogia subiscono, quindi, delle metamorfosi spesso agghiaccianti per l’ascoltatore che ne ha ancora memoria. E ciò è tanto più evidente se si pone attenzione al tema di Isengard (già bellissimo nel primo episodio) che, riconfermato, nel suo incedere innaturale (il tema è in 5/4), viene incredibilmente appesantito dalla scansione inesorabile dei timpani e da un’orchestrazione che, eliminate certe volate dei violini che ancora davano slancio al brano, comincia a ricordare sempre più, per sonorità, l’interno di una vera e propria officina metallurgica (e ricordiamo che Isengard è, già in Tolkien, il perfetto prototipo della nuova e rampante società industriale). Tale tema, che fa la sua prima comparsa già nel track 5 (The Uruk-hai), viene magnificato, in un’altra brevissima apparizione, dai tromboni e dalle tube nel loro registro più grave nel track 17 (Isengard Unleased) prima che esso venga contrapposto prima al tema di Rohan (uno dei pochi temi realmente nuovi dello score) e, poi, alla splendida rielaborazione per coro e voce solista dello stesso tema della profezia sostenuto qui da un’inarrestabile progressione armonica tipicamente shoriana (questa si, molto poco medioevale).
Drastici mutamenti ci sono anche per quello che era, forse, il tema meno riuscito del precedente episodio, quello della Compagnia dell’anello, che è presente come un dolce ricordo all’inizio del track 18 (Samwise the Brave): un brano questo sapientemente evocativo che tocca vertici di ispirazione nella parte mediana e nella sua imprevedibile conclusione (ancora una volta in sezioni assolutamente non melodiche, quindi). È da dire, comunque, che il senso del disfacimento della compagnia era reso potente già nel track 5 dove la testa del tema era divisa in due frasi asimmetriche assegnate una a parte dell’orchestra e l’altra al timbro distante dei corni come fosse risposta di un’eco distante. Il tema, che non ritroverà mai più lo slancio eroico che aveva avuto nel film precedente, ci appare sostanzialmente modificato dal fatto che esso è ora scandito in modo fin troppo enfatico da un ritmo che si rivelerà essere la base ideale dell’ancora a venire tema di Rohan (come a suggerire una continuità perfetta tra gli ideali della compagnia dell’anello e l’epica battaglia che si consuma nei reami degli uomini). Non è, quindi un caso, che il track immediatamente successivo (The King of Golden Hall) si apra con la testa del tema della compagnia seguito dalla prima esposizione completa del tema di Rohan. Di quest’ultimo possiamo affermare che, grazie alla sua orchestrazione che mette in primo piano un inaspettato violino norvegese solista (simbolo del bisogno degli uomini di primeggiare sempre e comunque sugli altri) ha il sapore di un’antica chanson de geste medioevale.
Vertici espressivi sono toccati nel secondo track (The Taming of Smeagol) che riprende il tema degli hobbit adattandolo, questa volta, alla figura di Gollum (che, lo ricordiamo, era un hobbit prima che l’anello lo consumasse trasformandolo nella creatura che tutti conosciamo). Il tema, presentato significativamente fuori registro e assegnato alla voce dolce (ma più bassa dei flauti che avevano presentato lo stesso tema in The Fellowship of The Ring) di un clarinetto, è stupefacente nel rendere palese la dimensione di instabilità che già lo caratterizzava nel precedente e meno lugubre episodio. Dopo appena ventisei secondi l’orchestra lascia il posto al coro (novità assoluta in ambiente hobbit) cui viene affidato il compito di descrivere la degenerazione e la consunzione di Smeagol, resa significativamente da una lenta scala discendente degli archi puntellata dai tremoli secchi del cimbalon.
Meno significativi dal punto di vista musicale, ma pur sempre suggestivi, sono alcuni pezzi squisitamente melodrammatici (track 8: Evenstar con la voce incantevole di Isabel Bayrakdarian e track 14: Breath of life in cui Sheila Chandra si confronta con il ricordo di Enya), mentre giustamente epici sono gli sfondi sonori delle battaglie tra cui quella ormai epica del fosso di Helm. La canzone finale di Gollum (la voce è di Emiliana Torrini) conclude il Cd secondo una specie di anticlimax, già sperimentato nel precedente lavoro, che vira tutto al nero anche se gli ultimi accordi dell’orchestra ridanno voce alla speranza. Si tratta di un brano giustamente caratterizzato da sonorità distorte che resta nella memoria soprattutto per il sapiente uso della voce.
Una menzione a parte merita, infine, il tema di Treebeard, mitica creatura a metà strada tra un albero e un saggio della foresta, resa da cupe sospensioni degli archi su cui si innestano i suoni antichi e quasi pre umani delle percussioni africane.
Shore conferma la sua vocazione ad un eclettismo assoluto in cui riferimenti costanti alla scuola sovietica (Prokofiev è spesso letteralmente saccheggiato) non rifiutano preziosità di scrittura che passano per Ives e, addirittura Ligeti e Penderecki (track 4: The Passage of The Marshes dove il coro si divide per fasce sovrapposte in un intrico polifonico dal sapore post-darmastadiano).
Tentare di dare anche solo un’idea della complessità della partitura de The Two Towers è impresa al di là della nostra capacità, e c’è veramente da perdersi nel tentativo di rendere la struttura intricatissima della circolazione dei vari temi (secondo un modello classicamente wagneriano) tra i vari brani che compongono il tutto. A noi non resta da affermare, senza tema di smentite che era dal lontano 1938 che non si assisteva ad un così perfetto corto circuito tra film e musica in un gioco di rimandi splendido ed inaudito in cui la seconda si rivela capace davvero di tradurre in suoni la plasticità, il colore e il senso drammatico del primo.


Autore: Howard Shore; TitoloThe lord of the rings. The two towersEtichetta: Reprise

Tracklist 1) Foudation of stone 2) The taming of Smeagol 3) The riders of Rohan 4) The passage of the marshes 5) The Uruk-hai 6) The king of Golden hall 7) The black gate is closed 8) Evenstar (featuring Isabel Bayrakdarian) 9) The white Rider 10) Treebeard 11) The Leave Taking 12) Helm’s Deep 13) The forbidden Pool 14) Breath of life (featuring Sheila Chandra) 15) The hornburg 16) Forth Eorlingas (featuring Ben Del Maestro) 17) Isengard Unleashed (featuring Elizabeth Fraser & Ben Del Maestro) 18) Samwise the Brave 19) Gollum’s Song (performed by Emiliana Torrini)