Piccolo Principe

piccoloDoveva succedere prima o poi.
L’incontro tra Dora Ricca e Il piccolo principe, il capolavoro di Antoine De Saint- Exupéry era di quelli che un po’ sembrano scritti nelle stelle. Stupisce, semmai, che si sia aspettato tanto, che tanta scena sia passata sui tavolati del teatro prima che questa produzione prendesse finalmente corpo e vita tra le luci e in mezzo al gioco degli attori.

In fondo tutto il teatro di questa regista e scenografa cosentina è sempre stato demiurgica costruzione di mondi. Per lei la scena più che spazio è un ponte, un indice perennemente puntato verso un altrove che non è mai fatto oggetto di visione, quanto, semmai, di intuizione.
Per Dora Ricca lo spettacolo non è mai solo ciò che si vede (che è comunque sempre bello), ma soprattutto ciò che si sogna a occhi aperti, ciò che ci è dato completare unendo i puntini di un continuo, inesauribile, alludere ad altro.
Il suo teatro gratta sotto la superficie del quotidiano e scopre sempre, sotto la normalità, il sorriso stupito dell’immaginazione. Ogni suo spettacolo, stranamente popolato di poche, povere cose, supera l’impaccio della fenomenologia per farsi incredibilmente significazione.
Due bulloni, un tubo e un rotolo di corda, per esempio, sono indizio di un volto bambino che ci guarda e ci invita a farci piccoli anche noi, perché solo nella nostra infinitesimale piccolezza ritroviamo la fonte della nostra grandezza.
Così il Teatro diventa goccia d’acqua nella quale può riflettersi il mondo, se solo ci mettiamo a guardarla dalla giusta angolazione. E se la luce ci cade dalla parte giusta, si fa arcobaleno che supera tutte e quattro le pareti del teatro per andare dritta dritta nella stanze chiuse del nostro intimo bisogno di fantasticare.

L’essenziale, invisibile agli occhi, resta dentro lo sguardo, ma deve passare per il cuore per farsi caldo e dolce. Per sognare, ci insegna la regista, bisogna prima di tutto vedere. A cambiare è la qualità dell’atto perché ogni siepe è sempre invito all’infinito.

In mezzo a questa tentazione di altrove resta, ancora fondamentale, un bisogno di racconto. Come già in Giufà (che porta la firma di Dora Ricca nelle immaginifiche scenografie di luce e ombra), anche in Piccolo Principe, però, la narrazione non passa per le coordinate abituali del racconto edificante per bambini, semmai si sfrangia in un surreale che si nutre a paradossi. Perché per parlare al bambino che vive in ciascuno di noi non basta solo immaginare mondi nuovi, ma bisogna partire dalla consapevolezza che ogni sogno ha le sue regole. E se ogni incanto ha una grammatica allora ogni spettacolo è sempre un riflettere su se stesso e sulla sua capacità di raccontare.

Piccolo Principe, in fondo, è proprio questo: una continua rimodulazione della fantasia che si esercita su poco e niente per farne un tutto. Basta un tavolato, uno schermo trasparente, un pianetino e qualche maschera per dire e far sognare. Le luci e le voci faranno il resto, saranno colla al nostro desiderio di capire per iniziare a fantasticare.
Lo spettacolo è, così, magia per occhi grandi che si spalancano nel buio. I nostri, di adulti, che desiderano tornare bambini. Ma anche quelli dei fanciulli che sono grandi per natura, sgranati e affamati di mondo e di fantasia.
Forse, se proprio gli vogliamo dare un limite, Piccolo Principe non è adatto per i più piccolini, per quelli che hanno ancora bisogno della voce delle favole e per cui rischia di essere troppo questa libertà del pensiero e questo bisogno di mito. Ma resta esperienza bella, di quelle che ti restano attaccate addosso per tanto tempo.

La magia riesce anche per la bravura degli attori che si piegano al bisogno di superare i limiti della carne e il peso dei corpi per farsi disegno nello spazio buio del palco.

Il primo, Paolo Cutuli, il piccolo principe del titolo, tende alla dimensione fanciullesca del tratto di matita, con una performance così ad un passo dalla coreografia che sfida la gravità a ogni passo in un anelito alla leggerezza e alla danza. Il suo lavoro sul corpo si appoggia a un gioco sulla voce che a tratti si fa bambina, a tratti si fa eco, senza mai apparire posticcia imitazione dell’infanzia.
Il secondo, Francesco Aiello, l’aviatore ma anche il re di tutti i mondi incontrati in viaggio, gioca coi pastelli delle maschere. Grave senza essere pesante come adulto perso nel deserto, è un trionfo di dialetti e atteggiamenti che danno a ogni mondo un perché italiano e universale al tempo stesso. E in fondo, come ti entra in scena, è già bambino nel suo attraversare il palco giocando all’aereo che solca cieli di caratpesta.

Il tutto contribuisce a uno spettacolo raffinatissimo, sapientemente in punta di penna, che non stonerebbe in una stagione di teatro per adulti, ma che sta di casa soprattutto in mezzo a quei bambini che cominciano appena a sporcarsi gli occhi con il nostro mondo, forse più reale, ma senz’altro meno vero.


FAMIGLIE A TEATRO
Stagione di teatro per ragazzi
8 marzo 2015, ore 17:00
Teatro Remigio Paone, Formia

Teatro dell’Acquario, Cosenza
PICCOLO PRINCIPE
adattamento teatrale, scene e regia di Dora Ricca
con Paolo Cutuli e Francesco Aiello