X-men: Giorni di un futuro passato

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Il vero paradosso di X-Men: Days of Future Past non è quello temporale. Semmai esso risiede nel rapporto di dolorosa inconciliabilità tra Storia e storie.

La prima, fissa e immutabile, è chiusa alle spalle dello spettatore (come dell’autore) e si rivela ombra inquietante con la quale doverci sempre confrontare.
Le seconde, giocose varianti di miti più o meno antichi, sono libere di muoversi in tutte le direzioni possibili, obbligate solo dal rispetto di una logica causalità.

Storia e storie si incontrano in tutto il cinema di Singer. Sembra quasi che le seconde non possano veramente esistere senza le radici scure della prima che, dall’alto, incombe come macigno di granito.
E la macchina del tempo che è il profondodeus ex machina dell’intera vicenda narrata, permette di chiudere i conti con le storie, ma non può nulla contro la tragica fissità dei fatti registrati negli annali.

Così le storie possono giocare, ad esempio, con l’idea di suggerirci che anche Kennedy era un mutante e che Magneto, sulla scena del delitto, da buon padrone dei metalli, aveva fatto deviare la pallottola fatale, ma la suggestione che agisce appunto nel mondo dell’affabulazione, non cancella mai, né mai potrebbe, la morte del presidente americano.
Del resto la macchina del tempo è qui impiegata per correggere gli eventi delle storie in una delle più spericolate e riuscite operazioni di retconning di sempre, ma non si prende la stessa libertà nei confronti della Storia. Non siamo insomma dalle parti di Bastardi senza gloria dove il cinema è abbastanza forte da prendersi il lusso di uccidere in Hitler in un rogo di nitrato d’argento. Nel cinema di Singer, piuttosto, il post moderno, fermo davanti ai cancelli dei campi di sterminio che secondo Adorno avevano ucciso ogni possibile futura forma di poesia, si confronta con il bisogno di un confronto. Come il protagonista diOperazione Walkiria che trama per uccidere Hitler e la sua storia è come una farfalla intrappolata nella campana di vetro dell’immutabilità della sua sconfitta.

Ecco forse la metafora più intrigante di tutto il cinema di Singer è questo inesauribile sbattere d’ali sul vetro, questa continua morte di falene al fuoco di tragedie così vicine che ci bruciano ancora. Non solo Shoah, si intenda, perché gli X-men si confrontano con l’orrore della guerra fredda, con la crisi missilistica, con la paura dell’atomica e, ora, col Vietnam e l’assassinio Kennedy (in verità qui solo raccontato a parole).
La grandezza dei personaggi singeriani la si ricostruisce così a posteriori ed ha il sapore della Tragedia greca. I fatti muovono verso un finale per lo spettatore già noto e loro non possono fare a meno di caricarsi addosso la loro missione che intuiscono suicida.
E ora che nel piano del racconto entra di peso anche il viaggio nel tempo questo attrito dolente tra le ragioni della fantasia e la consapevolezza che quel che è stato è stato si fa poetica e ancor più metaconsapevole.

X-Men: Days of Future Past non è forse il film più bello di Singer, né probabilmente è il più bello dei tre episodi della saga che lui ha girato (personalmente preferiamo il secondo, più delicato sul tema dell’adolescenza e della diversità) però è quello che meglio definisce i termini di una riflessione tra passato e fantastico plausibile.
Un’opera diversa dai cinecomics più tradizionali (e sarà per questo poco amata dai fan del fumetto originale) per la sua capacità di stare nei tempi dei suoi personaggi in cui il bisogno di rincorrere i colpi di scena non impedisce la cura del dettaglio. E così l’azione spesso si sospende per dar spazio alla tragedia segreta di ogni personaggio oppure si concede intere parantesi di piana surrealtà come nella scena in cui Quicksilver, velocissimo, risolve il confronto a fuoco tra mutanti e poliziotti.
Quicksilver! Forse il personaggio che meglio incarna il senso complessivo dell’andamento del racconto, con le sue accelerazioni e improvvise decelerazioni, con la sua capacità di giocare con la velocità delle lancette che, però, e sta qui l’incaglio, possono andare sempre e solo avanti.


(X-Men: Days of Future Past); Regia: Bryan Singer; sceneggiatura: Simon Kinberg; fotografia: Newton Thomas Sigel; montaggio: John Ottman; musica: John Ottman; interpreti: Jennifer Lawrence, Michael Fassbender, James McAvoy, Jason Flemyng, Ian McKellen, Patrick Stewart, Nicholas Hoult, Hugh Jackman, Anna Paquin, Ellen Page, Peter Dinklage, Halle Berry, James Marsden, BooBoo Stewart, Evan Peters, Shawn Ashmore, Lucas Till, Daniel Cudmore, Omar Sy, Bingbing Fan, Adan Canto; produzione: Marvel Studios, Dune Entertainment, The Donners’ Company, Bad Hat Harry Productions, Seed Productions; distribuzione: Twentieth Century Fox – Italia;origine: USA, 2014; durata: 131’

Fonte: Close-up