Venezia 73 – An evening with Bukowski

arton11743-6cbaeLa vita, in fondo, non è questo granché – dice Bukowski buttando giù un sorso di vino rosso – In vita mia ho scopato e bevuto, bevuto e scopato, ma a dirla tutta neanche bere e scopare sono questo granché.
Lucido disincanto di una delle icone del secolo appena trascorso. Un’icona costruita con cocciuta caparbietà, con una coerenza portata avanti fino all’estremo, quasi in sfregio a un pubblico adorante da guardare con un distacco che, più che aristocratico, si è fatto esistenziale.
Espressione di un pensiero forgiato nel dolore quotidiano di un bambino frustato con una cinta di quelle che si usano per affilare i rasoi, tre volte a settimana per almeno cinque anni (tanti ce ne vogliono per arrivare dai sei agli undici). Una disciplina della punizione servita soprattutto per imparare a battere lettere su una tastiera perché le conseguenze al diro quello che si pensa non possono essere peggiori del dolore quotidiano.
Così si presenta Bukowski in questa intervista fiume che galleggia nel fumo di cicche sempre accese. Così si dice lo scrittore tra un bicchiere e l’altro di vino, buttati giù con l’ingorda abitudine di chi costruisce con pazienza il suo stesso relitto con il quale affrontare il ritorno di un passato che prima o poi ti affonderà con un’onda meno avara.

Nasce piano You never had it – An evening with Bukowski, breve (45’) documentario di Matteo Borgardt presentato fuori concorso all’interno delle Giornate degli autori. Da un evento quasi fortuito: il ritrovamento, in garage, di una scatola contenente un’intervista filmata che Buk aveva concesso a Silvia Bizio, allora corrispondente italiana a Los Angeles e oggi madre del regista del film. Un evento fortuito che contiene al suo interno un piccolo miracolo: quelle cassette U-matic datate 1981 non erano mai state dimenticate, ma le immagini in esse contenute erano state date per disperse, cancellate, ormai, dal tempo che non fa sconto soprattutto ai supporti magnetici. E, invece, a provarle, le cassette funzionavano ancora, anche se ogni fotogramma era in precarie condizioni.

Matteo Borgart – è il suo più grande merito – non si è lasciato intimorire dalla bassa qualità di un girato scritto su una sabbia sempre più vicina al mare. Forte di un lavoro di restauro che ha salvato il salvabile, recupera e rimonta le immagini di Bukowski aggiungendo al tutto materiale nuovo: letture di brani dello scrittore, immagini della Los Angeles di oggi che, manipolate per sembrare vecchie, danno il senso di un tempo che passa senza passare, di un passato che rincorre il presente per scoprirlo non poi così diverso.
Attraverso un lavoro quasi invisibile di ricomposizione, aiutato dal tappeto sonoro di una musica onnipresente che ha forse – come nel muto – il solo scopo di aiutarci a convivere con il fruscio della morte al lavoro, il regista affida alla grandezza del personaggio filmato tutto il senso della sua operazione e ci lascia ad ascoltare Buk mentre parla male dei colleghi scrittori (Sartre, troppo estroso, belli Celine e Dostoevskij e, infine, Hemingway che piace quando si è ragazzi, ma poi si cresce).
Frattanto il vino scorre, saltano i tappi di sughero e si impastano le voci. La sua più di tutte, persa in una trance senza tempo.
I vezzi dell’autore ci sono tutti, con sorniona complicità degli amici intorno, e chissà cosa avrebbe pensato Buk di come essi sarebbero presto diventati una moda intellettuale che perdura ancora oggi senza un briciolo di sostanza vera e senza cognizione del dolore.
Soprattutto c’è affetto e ammirazione in queste immagini consegnate finalmente al repertorio. Sentimenti che annebbiano lo sguardo più delle sigarette e ci lasciano con l’idea di sapere qualcosa in più, ma anche con l’impressione che la strada per capire fino in fondo Bukowski e la sua importanza sia ancora tutta da costruire.


 CAST & CREDITS

(You Never Had It. An Evening with Bukowski); Regia: Matteo Borgardt; interpreti: Charles Bukowski, Silvia Bizio, Linda Lee Beighle, Frances Schoenberger, Michael Montfort, James Borgardt; produzione: Alevi, Itaca Films; origine: USA, Messico, Italia, 2016; durata: 45’

Fonte: Close-up